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Un antinfiammatorio contro la distrofia muscolare


Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele, dell’Università degli Studi di Milano, dell’Università di Milano-Bicocca, dell’Università di Pavia, dell’Istituto Medea e del Centro Ricerche Nicox, ha dimostrato che una molecola oggi in sperimentazione per la cura dell’Alzheimer, il nitroflurbiprofene, rallenta la degenerazione muscolare di topi affetti da distrofia muscolare, malattia genetica degenerativa ancora incurabile che colpisce i muscoli.



Il nitroflurbiprofene, oltre ad avere un’azione antinfiammatoria, si è dimostrato efficace per reintegrare il nitrossido, sostanza fondamentale per il metabolismo e la rigenerazione dei muscoli e presente in misura insufficiente nei pazienti distrofici.



Il trattamento ha permesso agli animali di mantenere una buona capacità di muoversi, riducendo i danni causati dalla malattia. Inoltre, i ricercatori hanno verificato che se associata al nitroflurbiprofene un’eventuale terapia cellulare contro la distrofia muscolare, basata su cellule staminali, ha maggiore successo.



L’importante scoperta è pubblicata su PNAS, la prestigiosa rivista scientifica dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli USA.



Spiega Emilio Clementi, professore dell’Università di Milano, supervisore dell’Unità di Farmacologia cellulare dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele e coordinatore dello studio: «Aver impiegato una molecola già in fase di sperimentazione sull’uomo ci permetterà di abbreviare i tempi per passare dal laboratorio alla sperimentazione sull’uomo. Inoltre, poiché il nitroflurbiprofene è un antinfiammatorio non a base di cortisone, l’utilizzo di questo farmaco potrebbe permettere l’elaborazione di una terapia meno tossica per l’organismo del paziente rispetto a quella tradizionale. Bisogna però essere prudenti si tratta di uno studio effettuato sugli animali e non ancora di una terapia per i malati. Prima di arrivare a un impiego di questa strategia nella cura della distrofia sarà necessario ancora tempo, almeno tre anni, in modo da completare tutti i passaggi della sperimentazione clinica».

27/12/2006

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